di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Le anticipazioni del Country Report, fatte trapelare di sponda con il Colle hanno (ripro)posto il tema. Ma per Tria è prematuro parlare di manovra correttiva, come ha detto mercoledì alla Camera. Per Giorgetti, che in qualche modo ha sconfinato in un territorio non suo, “è un problema di cui il Governo si occuperà nei prossimi mesi”. A differenza del ministro dell’Economia, insomma, il sottosegretario fa trapelare preoccupazione. Che poi è quella che circola in molti ambienti del Carroccio. E proprio la figura di Giorgetti può aiutare a intravedere la strategia a medio termine della Lega, al di là di tutte le polemiche giornaliere che sembrano ignorare che il Paese è entrato in recessione.
Ci infatti sono i polveroni che si alzano quotidianamente, proposte di legge leghiste sull’oro di Bankitalia, le parole di Borghi contro la Bce, le ipotesi di uscire dall’euro, ma poi c’è il numero due della Lega (da sempre e con tutti i segretari) che tiene i rapporti con il mondo produttivo, che telefona spesso a Mario Draghi, che è stato relatore e sostenitore del Fiscal Compact, e che forse ci aiuta a intravedere i confini della prossima stagione, quella post-Europee. Anche perché è da tempo in rotta con i 5 stelle, forse in anticipo rispetto a quello che potrebbe avvenire nei prossimi mesi.
Giorgetti sta cercando di muoversi in anticipo (ed è disperato di non riuscirci come vorrebbe nella partita delle nomine, dato il non ottimale roster a disposizione). Attualmente siamo in recessione tecnica, la produzione industriale crolla come non avveniva da dieci anni (-7,3% tendenziale, -3,5 congiunturale) e la crescita stimata per il 2019 è un quinto di quella prevista dal Governo: in futuro è assai probabile che le previsioni dell’Esecutivo siano da rivedere a cominciare dal calcolo del deficit in rapporto Pil. Per dire, l’Upb prevede il 2,3%, Moody’s il 2,5%. Possibile si superi il 3% se non si interviene subito. In ogni caso, è difficile escludere una manovra correttiva. Ma il sottosegretario pensa anche ad altro.
Bruxelles ha già da tempo fatto trapelare che sospenderà il giudizio sui conti fino alle Europee, ma già venerdì arriva il giudizio di Ficht, a cui seguiranno le altre agenzie di rating. Ad aprile poi, e quindi a campagna elettorale in corso, il governo dovrà presentare alle Camere il Def e il Piano nazionale di riforme. Un piano che dovrà considerare i 35 miliardi necessari a sterilizzare l’iva e dare ulteriore esecuzione a reddito di cittadinanza e quota 100, che dovrà ricalcolare le previsioni, che dovrà prendere atto delle realtà.
Tra le ipotesi su come approcciare la politica economica, c’è quella dell’ottimismo estremo, quella per cui “abbiamo abolito la povertà” (Di Maio) o siamo di fronte a un “anno bellissimo” (Conte). C’è quella per cui siamo di fronte “ad una frenata congiunturale” (Tria). Ma sta progressivamente prendendo forma una diversa consapevolezza anche in Zaia, Maroni, Cota e, ovviamente, Giorgetti. Infatti, di fronte a ordinativi e fatturato in calo, previsioni che vengono tagliate di giorno in giorno, l’avvicinarsi dei nuovi giudizi delle agenzie di rating, il malcontento dei ceti produttivi che sale, c’è una parte della Lega che è obbligata a rispondere al suo elettorato. Per adesso la tattica è rinviare a dopo le europee. Ma a quel punto per invertire la rotta non basterà sbloccare i cantieri della Tav. (Public Policy)
@m_pitta