Twist d’Aula – Londra chiama Roma: affinità e differenze

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – Nelle stesse ore in cui a Roma Giorgia Meloni faceva il suo discorso programmatico in Parlamento, a Londra Rishi Sunak conquistava il partito e giurava nelle mani di Carlo III come nuovo primo ministro inglese. Si tratta di una coincidenza temporale sotto la quale si nasconde qualche differenza, ma in cui è possibile ritrovare molte e determinanti affinità che vanno ben oltre la copertina stereotipata e un po’ superficiale dell’Economist (quella titolata “Welcome to Britaly” con spaghetti e mandolino). E si tratta di questioni sia culturali che economiche che caratterizzano il nostro tempo e ci danno indicazioni su quale sia la strada del futuro, in parte obbligata, per ciò che concerne la linea di politica economica.

Intanto, sono due prime volte. Il primo “non bianco” entra al numero 10 di Downing Street. La prima “non uomo” a Palazzo Chigi. Tuttavia il Regno Unito ha già avuto tre premier donna (Thatcher, May, Truss), mentre per l’Italia è un inedito. È vero che Oltremanica il voto femminile è partito nel 1918 mentre da noi è arrivato 30 anni dopo ma la cosa da notare, e che rende simili i due Paesi e indica una tendenza generale, è che il “tetto di cristallo” viene bucato sempre a destra e mai a sinistra. Né il Labour britannico né la sinistra italiana hanno infatti mai avuto una donna come leader. Per estensione, vale la pena ricordare che i vertici delle istituzioni europee sono guidati da tre donne, tutte di stampo conservatore. (Von der Leyen presidente della Commissione Ue, Roberta Metsola presidente del Parlamento, Christine Lagarde a capo della Bce).

Senza voler ricordare poi le leader di stampo conservatore che nel passato hanno guidato altri importanti Paesi, da Angela Merkel in Germania a Golda Meir in Israele, è evidente che a sinistra si predica tanto femminismo ma ne razzola meno che a destra. Certo il (il) presidente del Consiglio Italiano ha commesso una scivolata. Meloni (non “la” Meloni) ha citato diverse figure femminili che hanno “costruito con le assi del proprio esempio la scala che oggi consente a me di salire”, ma le ha chiamate per nome di battesimo. A questo punto poteva usare lo stesso metodo per ringraziare Sergio (Mattarella) e Mario (Draghi). Comunque, a fare da contraltare al lessico, nel suo discorso Meloni ha snocciolato alcune misure concrete per favorire l’occupazione femminile (asili nido gratuiti, assegno unico, quoziente familiare, incentivi per incentivare la conciliazione casa-lavoro): vedremo cosa riuscirà a fare.

A guardare da altra angolazione, tra Londra e Roma ci sono altre similitudini. Soprattutto economiche. La più evidente è che entrambi i Paesi, euro o non euro, Unione europea o non Unione europea, e perfino a prescindere dall’ammontare del debito pubblico (intorno al 145% del Pil per l’Italia e al 100% per la Gran Bretagna) devono fare i conti con il potere dei mercati. A questi sono bastati dieci giorni per costringere Liz Truss a rimangiarsi una manovra economica spavalda fatta di sostegni a pioggia e tagli di tasse ai ricchi – somigliante a ciò che Salvini vorrebbe fare se comandasse lui – e a presentare le dimissioni. Su questo è stato definitivo il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, che dalla riunione annuale del Fondo monetario internazionale a Washington ha sottolineato che quanto è accaduto a Londra è “una lezione per tutti”. Tra l’altro, non la prima di questo genere.

Non è un caso che Meloni, a differenza di Truss e in parallelo con l’ascesa di Sunak, sia arrivata alla guida del Governo attraverso una continua opera di rassicurazione dei mercati e degli interlocutori esteri. Le sintonie con l’Esecutivo uscente in ambito economico trovano fondamento proprio nella consapevolezza che, senza fiducia sul piano internazionale e senza sostegno dei creditori, non si può fare molto. La credibilità è fondamentale. Qualcuno dice che sia l’unica cosa che conta. Si può discutere se il nostro Paese sia ad “amministrazione controllata” o a “sovranità limitata” – la non nomina di Savona a ministro dell’Economia nel 2019 è esemplare in questo – ma a quanto pare anche il Regno Unito, pur con tutte le differenze, è sulla stessa barca.

Anche per questo Meloni e Sunak si ritrovano in una convergenza parallela. Entrambi hanno esplicitamente parlato di momento “drammatico” per l’economia, evidenziando le ristrettezze di bilancio e il poco spazio di manovra a disposizione. Un modo per mettere un freno alle richieste di alleati ed elettori e per rassicurare i mercati. Mentre nel 2011-2012 e negli anni a seguire, complici i tassi quasi a zero, alcuni Paesi potevano aumentare abbastanza liberamente il debito pubblico, oggi anche il Regno Unito trova difficoltà a finanziare il proprio deficit. Questo vale anche per chi ha una propria banca centrale come l’Inghilterra (ma anche Argentina o Turchia). Al di là della sincronia, i cambi di Governo a Londra e Roma hanno qualche divergenza e tante convergenze. Sunak e Meloni si passano tre anni di differenza. Ma sono della stessa generazione. E i Paesi che si ritrovano a guidare vivono nello stesso tempo. E con problemi molto simili. (Public Policy)

@m_pitta