Twist d’Aula – Campo minato parlamentare

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – Sono passate meno di tre settimane dalla rielezione di Mattarella, poco più di 10 giorni di lavori parlamentari effettivi e il Governo è già andato sotto quattro volte alla Camera sul Milleproroghe. Questa settimana in commissione Affari sociali si sono verificati altri incidenti parlamentari in tema di green pass. E non è detto che siano gli ultimi. Come prevedibile, la situazione diventa ogni giorno più tesa, tanto più che si riduce la torta del deficit da spartire. Il punto è che non sembra esserci via d’uscita, se non un logoramento quotidiano, una sorta di palude da cui nessuno ha la forza di uscire.

Mario Draghi ha fatto trapelare la propria irritazione, fino ad porre sul tavolo la minaccia di dimissioni. Per l’esecuzione del Pnrr, ha detto pubblicamente, sono ora fondamentali i provvedimenti sulla concorrenza (che contiene lo spinoso tema dei balneari), quello sul fisco (dove c’è la combattuta riforma del catasto) e il Codice degli appalti (che rischia di irritare i grillini). Senza di questi, ha dichiarato, difficile andare avanti con il Pnrr. Tuttavia, per quanto il Governo possa raggiungere l’unanimità in Consiglio dei ministri, è ancora necessaria l’approvazione del Parlamento che è diviso sia tra le coalizioni, che tra i partiti alleati. E talvolta anche internamente ai gruppi.

In risposta agli aut aut sollevati dal primo ministro, Salvini sembra quasi fare ironia (“Il Parlamento fa il suo lavoro. Altrimenti aboliamo il Parlamento”). Ma non c’è dubbio che il percorso del Governo sia particolarmente accidentato, con molte altre trappole pronte a scattare: il decreto Bollette, le trivelle, il Fine vita, il Sostegni ter con il corollario dello scempio che è stato fatto sulle regole dell’edilizia. E poi, ancora la riforma del Csm, il Mes, il tetto al contante, il decreto Covid e il contestato green pass. Abbastanza da rendere concreto il rischio di un percorso tormentato e potenzialmente interminabile.

Tuttavia non sembra ci sia un disegno politico destabilizzante dietro, ma solo una maggioranza parlamentare troppo eterogenea e le urne che si avvicinano. Nessuno, a parte Fratelli d’Italia, sembra infatti pronto a far cadere il Governo e andare al voto. Letta, Berlusconi e le varie forze del centro escludono esplicitamente azioni che possano minare la stabilità dell’Esecutivo. Gli altri, implicitamente. E forse questo istinto di autoconservazione può essere un elemento di garanzia. L’altro, se possibile ancor meno nobile, è una sorta di nuovo vincolo esterno.

Con la crisi Ucraina pronta a deflagrare definitivamente e venti di guerra in Donbass, il caro bollette che spaventa gli italiani, l’inflazione che minaccia i risparmi, oltre che il Pnrr da portare a termine e varie battaglie europee da combattere, nessuno potrebbe prendersi mai la responsabilità di far saltare il banco. Sicuramente per interesse generale, ma forse anche per interesse tattico particolare. Comunque sia, forse l’unica arma in mano a Draghi per far rispettare il suo programma di Governo rimane quella delle dimissioni. Un’arma atomica che, proprio per il suo potenziale, non si fa detonare a cuor leggero. Per cui si potrebbe passare il prossimo anno in uno stillicidio infinto. Come fu con Monti nel 2012 e Gentiloni nel 2017. (Public Policy)

@m_pitta