Twist d’Aula – Def: spettro recessione e giochi contabili

0

di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – Nel Def ci sono molti numeri, ma a leggerlo tra le righe si palesa, ancora una volta, una contrapposizione tra Draghi e i partiti nonché il suo corollario e cioè che il Governo, per provare a mettere in sicurezza i conti e non dilapidare le risorse che fossero eventualmente disponibili disponibili, ripete l’operazione del 2021: introduce artifici contabili per nascondere i veri numeri del bilancio alle forze politiche e non lasciare spazio per assalti alla diligenza. Anche perché, purtroppo, all’orizzonte si vede lo spettro della recessione. O comunque il ritorno alla crescita dello zero virgola.

Il quadro delle previsioni tendenziali è infatti una crescita del 2,9% del Pil, (dal 4,7% di settembre, un taglio di quasi il 40%). Ma c’è di più, visto che un +2,3% è dovuto a “effetto trascinamento” per le performance dello scorso anno. Per cui, netti, restano sei decimali di incremento. E siamo già allo zero virgola. Inoltre, il primo trimestre del 2022 si archivia con un calo dello 0,5% e il Governo che mette a referto un “netto peggioramento”. Ma viene anche prospettato uno scenario peggiore, al limite della recessione, qualora dovesse arrivare lo stop all’importazione di gas russo e un prolungamento della guerra. Scenario che non si può escludere, visto che per il segretario generale della Nato “il conflitto può durare anni”. Insomma, a leggere i numeri nel loro contesto, le prospettive non sono ottimistiche.

Tra l’altro gli effetti del conflitto si sommano a problemi pregressi. Sia recenti, come la mancanza di materie prime, le fiammate inflazionistiche nonché le conseguenze della pandemia. Sia più antichi e tutti italiani, come l’elevato debito pubblico e la crescita anemica da ormai più di due decenni. Una situazione di debolezza che aveva indotto Draghi ad escludere ulteriori scostamenti di bilancio anche in questo Def di guerra. L’obiettivo è mantenere gli impegni assunti in Europa e rimanere credibili verso i mercati e i nostri creditori. Per cui il deficit resterà a 5,6% e i nove miliardi aggiuntivi si spesa per caro bollette e caro materiali vengono tirati fuori da un artificio contabile del passato. Il Governo aveva volutamente sottostimato la crescita 2021, così da avere a consuntivo parametri migliori e risorse aggiuntive nelle pieghe del bilancio. Che oggi si rivelano assai utili.

La linea non cambia nonostante le reiterate richieste in senso opposto arrivate ancora in queste ore da parte delle forze politiche (Lega e 5 stelle in particolare) D’altra parte gli obiettivi di Palazzo Chigi e partiti sono divergenti, visto che il primo non guarda alle elezioni che si avvicinano, mentre i secondi stanno entrando i campagna elettorale. Uno scontro che vede il premier impegnato su due fronti: a sinistra con l’opposizione di Conte all’aumento delle spese militari, alla fine rinviate alla prossima manovra; a destra, sulla delega fiscale, su cui mercoledì sera in commissione Finanze della Camera si è arrivati ai ferri corti. Vedremo cosa succederà con altri temi sensibili, dal concorrenza alla riforma del Csm, ma sembra che l’assetto dei primi mesi, in cui il Governo aveva carta bianca su quasi tutto, sia definitivamente tramontato.

Nel frattempo però – e questo è l’aspetto più tecnico ma anche più rilevante per i conti pubblici – viene introdotto nel Def un giochetto contabile per mettere, ancora una volta, in sicurezza i conti (per quanto possibile). E nascondere eventuali “tesoretti” alla politica. Si deve guardare al deflatore del Pil, strumento che somma inflazione interna e Pil reale e che si trova al denominatore quando calcoliamo deficit e debito in rapporto al Prodotto interno lordo. È chiaro che, se cresce, il valore al numeratore invece diminuisce in proporzione. Ecco, per quanto riguarda il 2021 il deflatore è stato ridotto dall’1,2% della Nadef allo 0,5% di adesso, mentre per il 2022 passa dal dall’1,5% al 3%. Insomma, viene tagliato per l’anno scorso, nonostante l’inflazione non sia mancata, e portato al 3% per quest’anno, anche con prospettive di aumenti dei prezzi stabili e consistenti, Diciamo che sono previsioni “molto prudenti” sull’inflazione che, se alla fine dovessero essere sottostimate, renderebbero deficit e debito meno pesanti. E quindi aprirebbero a maggiori spazi di bilancio. (Public Policy)

@m_pitta

(foto cc Palazzo Chigi)