Twist d’Aula – Come sarà il Def di guerra?

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – La guerra ha stravolto molto, ma non tutto. I margini di manovra del bilancio pubblico, per esempio, erano stretti due settimane fa e restano stretti oggi. Il Documento di economia e finanza in preparazione tra Palazzo Chigi e via XX Settembre (nella foto: il ministro dell’Economia Daniele Franco) dovrà ovviamente tenere in considerazione gli ulteriori rincari energetici, una maggiore scarsità di materie prime, oltre alle conseguenze sull’economia del conflitto in Ucraina, ma di fronte a uno scenario profondamente cambiato, l’approccio del Governo difficilmente sarà rivoluzionato.

La stagflazione, cioè situazione di inflazione e bassa crescita, è un effetto collaterale da tenere in conto. Ai già alti prezzi dell’energia si sommano ora ulteriori difficoltà, dal divieto di import di petrolio russo al blocco di export del NorthStream1, senza dimenticare l’indisponibilità dei Paesi arabi ad aumentare la produzione. Se la raccolta di cerali dovesse poi fermarsi a causa della guerra, visto che l’Ucraina è insieme alla Russia il quarto produttore al mondo, sarebbero guai sia per l’Occidente che soprattutto per il mondo arabo, che di mais e farina è grande consumatore (le Primavere arabe del 2011 partirono proprio come “guerre per il pane”).

Insomma, pericolo instabilità crescente. Sanzioni inedite e durissime, commercio internazionale in tilt, inflazione incontrollabile, oltre che un rischio di escalation provocano inoltre un’incertezza che rallenta investimenti e Pil. In tale scenario le banche centrali non possono agire come pensavano di fare solo un mese fa. La politica fiscale eredita poi un enorme debito pubblico (veniamo da una pandemia) che potrebbe aumentare ancora sia per inaspettate spese in campo che per interventi calmieranti su materie prime e bollette. Tutto ciò riduce gli spazi di manovra e lega le mani a tutti i Governi, in particolar modo a quelli con alto debito pubblico come l’Italia.

È proprio in questo mutato scenario l’Europa si appresta a ridiscutere il Patto di Stabilità e se anche si potrebbe abbandonare l’era della “rigida austerità”, difficile però che si entri nell’epoca della “finanza allegra”. L’Fmi ha appena lanciato un allarme debito mondiale (oltre i 300mila miliardi, al 351% del Pil globale) e soprattutto a Bruxelles sono consapevoli che tra qualche mese a Roma non ci sarà più Mario Draghi. Per cui potrebbe ripetersi la storia del 2014, quando l’Italia ottenne una deroga sull’indebitamento ma, mancando progetti esecutivi di investimenti, quel margine venne utilizzato per gli 80 euro. Oppure quanto accaduto negli anni successivi, quando le grida di giubilo dei grillini dal balcone di Palazzo Chigi si tradussero in Quota 100 e Reddito di cittadinanza. Per cui anche nel Def in fase di stesura non ci sarà spazio per ulteriore deficit.

Oltretutto lo scontro sul catasto che va in scena in queste ore è solo il primo di una lunga serie (concessioni balneari, Quota 102, appalti…) per cui sia Roma sia Bruxelles sanno che ulteriori scostamenti renderebbero il debito italiano ancora più esposto alle turbolenze. Tanto più che il Quantitative Easing è in fase calante e l’ombrello della Bce, anche in questa tempesta perfetta, sta per chiudersi. Nei mesi scorsi il Governo Draghi aveva strumentale abbassato le previsioni di crescita del pil in modo pessimistico così da ritrovarsi con più margine oggi. Margine che, guarda caso, è già servito per finanziare gli interventi sul caro bollette. Di fronte ad una guerra devastante di cui non si conoscono gli esiti, difficile che si cambi una di quelle poche cose che ci hanno dato un piccolo margine di sicurezza in più. (Public Policy)

@m_pitta

(foto cc Palazzo Chigi)