di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Tante prime volte: l’Unione europea fornisce armi a un Paese in guerra, la Svizzera abbandona la neutralità, la Germania cambia politica estera dopo decenni, la Finlandia chiede l’adesione alla Nato. Il conflitto in Ucraina sta segnando una cesura storica e anche sanzioni così incisive non si erano mai viste, tanto che se pure il loro l’impatto in Russia è già evidente, non sappiamo quanto potrà essere pesante. La conseguenze sull’economia globale dipenderanno poi dalla durata della crisi e da eventuali e ulteriori fiammate inflazionistiche, prezzi dell’energia in primis. Certamente, però, già si notano modifiche inedite nelle politiche economiche e monetarie europee.
La settimana scorsa durante le riunione informale del Consiglio direttivo della Bce di Parigi si sarebbe dovuto parlare – e questa era l’intenzione di Christine Lagarde – di come smantellare quel sistema di aiuti monetari con cui l’Eurotower, da Mario Draghi in poi, ha salvato l’economia continentale (tanto da portare il suo bilancio all’82% dell’area euro mentre, per esempio, la Fed si è fermata al 37%), ma che ora rischiava di lasciar correre troppo libera e veloce l’inflazione, la “tassa occulta” grande spauracchio dei tedeschi. Il dibattito era acceso a Francoforte, visto che la decisione sarebbe dovuta arrivare l’11 marzo. Poi, bombe e carri armati, e tutto si è fermato. Anzi, si è parlato soprattutto di come gestire le pesanti sanzioni e i loro effetti.
Prima della guerra le fiammate inflazionistiche negli Stati Uniti (al 7,5%, con effetti di secondo livello sui salari) avevano tuttavia già condotto la Fed ad annunciare un rialzo dei tassi di interesse a marzo, con alcuni altri possibili nel corso dell’anno. La Bce, con un incremento dei prezzi intorno al 5% ma ancora nessun effetto sugli stipendi, era a metà del guado, ma si stava incamminando verso politiche monetarie più restrittive (anzi, meno accomodanti). Ora è cambiato tutto. Se alzare i tassi potrebbe frenare i rincari, l’effetto collaterale sarebbe un maggiore costo di mantenimento dei debiti pubblici. E considerato che questi sono prima esplosi con la pandemia, ma che ora sono suscettibili di un ulteriore aumenti per via del conflitto, è evidente che siamo tra due fuochi. Da un lato ci sono ulteriori rincari delle materie prime (energia in testa), dall’altro il debito potenzialmente in aumento. In mezzo le decisioni dei vertici europei.
Parafrasando Winston Churchill (visto che la Russia è sullo sfondo di tutto ciò), possiamo dire di essere in “un mistero avvolto da un enigma”. Con prospettive si stagflazione, cioè alta inflazione e bassa crescita, bisogna chiedersi ‘che fare?’ (rubando parole ai russi). Per ora, wait and see. Lo stesso vale per l’eventuale revisione del Patto di stabilità. Riposta nel cassetto l’idea di collocare il debito in eccesso presso la Bce o altra agenzia europea da definire, resta da capire tutto il resto: come calcolare il deficit in eccesso, la sostenibilità del debito, quali parametri e, soprattutto, cosa considerare spesa corrente e cosa investimento sul futuro (lo stipendio di un infermiere a quale categoria appartiene? E quello di un insegnante?).
Le bombe che cadono in Ucraina provocano smottamenti di cui non si può, ora, prevedere entità ed esito. Si può pensare che gli effetti del conflitto siano marginali, visto che la Russia rappresenta solo il 3% dell’economia globale, ma gli Stati arabi che imposero un embargo petrolifero nel 1973, e l’Iran rivoluzionario nel 1979, rappresentavano una quota ancora più piccola. Oltre ad uno shock energetico, gli effetti a catena sulla fiducia globale sono imprevedibili. Come è da decrittare la posizione della Cina verso le sanzioni. Per adesso, il QE, i tassi e il Patto di stabilità non si muovono. Stato di guerra. Vedremo se e quando cambierà qualcosa. Certo, si tratta di una prima volta anche per Bruxelles e Francoforte. (Public Policy)
@m_pitta