di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – L’industria italiana è davvero in crollo verticale? E se lo è, per quali ragioni? Se si parte dagli ultimi dati suona l’allarme. A dicembre, infatti, la produzione industriale è calata del 7,1% tendenziale e del 3,1% congiunturale, il che ha portato il consuntivo 2024 a -3,5%. Solo qualche giorno prima il Ministro Urso aveva annunciato una “ripresa della produzione industriale”. Ma si sa, il singolo dato – o la singola dichiarazione – non fanno primavera. Dunque, contestualizzando il dato in un contesto più ampio, si vede che siamo al 23esimo mese di calo consecutivo, che si aggiunge al -2,5% del 2023. Un rallentamento che segue al boom del 2021-2022 e che, soprattutto, si inserisce in un contesto di debolezza internazionale e in particolare dei nostri partner industriali, a partire dalla Germania (circa -5% nel 2024). Per cui ora siamo scesi di 3 punti al di sotto dei livelli pre-Covid di fine 2019. Tuttavia, a stringere l’inquadratura, analizzando i 15 principali settori manifatturieri, si capisce meglio la situazione.
Dicembre è stato funesto (portando il calo annuo dal -2,5% previsto a novembre fino a -3,5%), poiché affossato dall’automotive, che ha fatto -11,3% annuo (-23% su dicembre 2023). Un comparto di cui il 9 gennaio il titolare del Mimit diceva “siamo riusciti a rimettere l’#automotive italiana sulla strada giusta”. Non proprio così, tanto che l’Italia soffre la scelta di essere un Paese monomarca, visto che con la sola Stellantis facciamo peggio della Germania e dell’Europa del suo complesso. Insomma, mentre per la prima volta nella sua storia Volkswagen chiude fabbriche in patria, noi facciamo peggio. Per cui è difficile dire, come Urso, che “è colpa del Green Deal”. Ed è dunque sbagliato felicitarsi per gli investimenti annunciati in patria dalla casa Agnelli (2 miliardi), specie se si guardano quelli promessi negli Stati Uniti (5 miliardi).
Ma non c’è solo l’automotive. Vanno male tutti gli energivori (siderurgia, ceramica, vetro, etc), E in Italia il sovraccosto della bolletta è dovuto per il 40% agli ETS – cosa che condividiamo con l’Europa – e per la parte restante al nostro mix energetico. E qui sorgono i problemi irrisolti del settore, tutti italiani. E poi ci sono comparti, come la farmaceutica, che soffrono la congiuntura internazionale. In particolare, il tessile fa -10,5% (18,3% su dicembre 2023) per il calo di vendite in volume sui mercati di sbocco, dove i grandi gruppi hanno scelto di scaricare i rincari dell’inflazione. Dunque, oltre alla congiuntura internazionale, l’Italia sconta un automotive monomarca e prezzi degli energia. Tutto qui?
Non esattamente. I beni strumentali segnano un -4,7% annuale. E quello dei macchinari industriali è un settore dalle eccezionali capacità, che soffre una frenata degli a partire da inizio 2023: incertezza su Industria 4.0, Transizione 5.0 che non parte per le complicazioni burocratiche e mancanza di decreti attuativi e di norme che per essere modificate devono tornare in Parlamento (300 milioni chiesti sui 7,5 disponibili) e complessivamente un’attenzione più rivolta al numero degli occupati che a produzione e investimenti. Una tesi confermata da singole vicende come Whirpool-Beko, ex-Ilva, Piombino e le altre grandi crisi industriali irrisolte.
“Entro marzo il Governo presenterà il Libro bianco sulla politica industriale in Italia”, ha annunciato il ministro delle Imprese, mettendo sul tavolo 18 miliardi. Speriamo che sia una mossa che possa aiutare settori in cui molte aziende dinamiche hanno ancora prospettive di crescita, dopo averne dato prova negli ultimi 15 anni superando di slancio una crisi di sistema e una rigida selezione darwiniana avvenuta dal 2008 in poi. Speriamo solo che questo annuncio del Mimit non finisca come il cartello medio delle pompe di benzina. O che il letargo duri più dell’inverno. (Public Policy)
@m_pitta
(foto cc Palazzo Chigi)