di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Tanto tuonò che piovve. La Commissione Ue ha rimandato a settembre (o meglio, a primavera) la legge di Bilancio e con essa tutti i conti pubblici italiani.
Il vicepresidente della Commissione Ue, Katainen, l’aveva annunciato. L’altro vicepresidente, Dombrovskis, l’aveva ripetuto. E oggi vengono confermate, nero su bianco, tutte le preoccupazioni. Il debito pubblico non scende, la produttività non cresce, la disoccupazione resta alta, i crediti deteriorati continuano ad essere un problema. Soprattutto, per Bruxelles sarebbe importante non tornare indietro sulle pensioni, come invece stiamo facendo. E mantenere la linea sui conti pubblici, come invece non stiamo facendo.
In effetti, il Governo aveva concordato uno dimezzamento della correzione del deficit strutturale per il 2018 (dallo 0,6% allo 0,3%), mentre la legge di Bilancio pare smentire l’impegno, con un taglio di un solo decimale. Questa manovra, nata come minimale, tra la novità di emendamenti fuori termine e concessioni al centro (sulla famiglia), a sinistra (sulla sanità) e ai sindacati (sulle pensioni), lievita di giorno in giorno. E vedremo quale sarà l’ammontare finale.
Di certo, Bruxelles ha già annunciato che serve un aggiustamento dei conti di circa 5 miliardi, sospendendo il giudizio fino a primavera. Intanto, il governo può decidere se intervenire in corso d’opera sulla legge di bilancio o delegare al prossimo esecutivo una manovra correttiva.
E se da una parte è difficile intervenire ora, viste le rivendicazioni delle varie parti politiche e la fine imminente della legislatura, dall’altra è improbabile che i partiti annuncino già in campagna elettorale come fare fronte all’impegno finanziario richiesto. A questi nodi irrisolti, politici molto prima che economici, si somma la “vulnerabilità del nostro debito”, il cui mantenimento costa il 3,8% del pil, tra con il QE di Draghi che si avvicina a scadenza.
Per adesso, in Italia si glissa. Dal Mef si dicono “fiduciosi” che non saranno necessari altri interventi, mentre a Palazzo Chigi confidano che con un deficit all’1,6% del pil, una crescita superiore all’1,5% e un’inflazione prossima al due, il debito possa scendere di circa 3 punti all’anno. Potrebbe anche essere, perché la congiuntura economica è confortante (il pil potrebbe chiudere “addirittura” a +1,6%). Tuttavia, restiamo sempre e comunque al di sotto della media continentale.
E, tuttavia, sottostimiamo “l’effetto Draghi”, senza il quale – secondo le stime del Centro Studi Economia Reale – saremmo ancora in recessione dello 0,3% quest’anno, dello 0,9% quello passato (invece di +1%) e dell’1,8% nel 2015 (rispetto a +0,7%). Ora, queste stime potrebbero anche essere esagerate, ma sicuramente il #segnopiù è dovuto principalmente a fattori esogeni. Gioire di questi risultati, inoltre, produce due ulteriori conseguenze nefaste: da una parte, non appena entra un euro in più nelle casse dello Stato, parte sempre e subito la gara alla sua “redistribuzione”, come dimostra anche questa manovra.
Dall’altro, la politica aumenta il suo discredito, non tanto perché si intesta meriti altrui, ma perché parla di qualcosa che per gli italiani non c’è. Infatti, il miglioramento non viene percepito nel Paese, tanto è vero che consumi rimangono tirati, gli investimenti centellinati, mentre è da esportazioni, beni durevoli e mercato immobiliare che arrivano i segnali confortanti.
Insomma, mentre l’economia lascia intravedere segnali positivi il “Paese reale” diffida e prova a fare a meno della politica, da tempo sull’orlo del baratro. In questo contesto si lavora ad una legge di Bilancio, l’atto economico politicamente più rilevante di ogni governo, che tradisce sia l’ambizione di essere essenziale, sia l’impegno preso con Bruxelles. In questo contesto ci si avvicina al voto. E in questo contesto dovremo affrontare la prossima legislatura.
Ed è sempre in questo contesto, allora, che forse dovremmo spogliarci dal politicamente corretto e rileggere le parole di quel rigorista, menagramo, insolente finlandese di Katainen (che è pure cugino degli svedesi), che ci ha accusato di mentire sui conti pubblici. Forse.
(Public Policy)
@GingerRosh