di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Il giorno dopo le elezioni il leader della forza politica più votata ha dichiarato che l’Italia è entrata nella Terza Repubblica, “quella dei cittadini”. Vedremo, anche se in realtà certe liturgie istituzionali, come le alleanze da trovare in Parlamento, sembrano essere tornate quelle della Prima.
Tra l’altro, il punto è che gli italiani sono rimasti ancorati alla Seconda almeno su un punto: vogliono che il Governo sia espressione diretta del loro voto. O almeno vogliono averne la percezione. Al di là delle preferenze tra proporzionale e maggioritario o dei dibattiti dottrinali tra presidenzialismo, semipresidenzialismo, premierato o cancellierato, ciò che si può ascoltare in ogni discussione “comune”, in molte strade, da ogni cittadino, è sempre la stessa: sapere chi ha vinto la sera stessa delle elezioni.
Impossibile a Costituzione vigente, ma dai 25 anni di Seconda Repubblica gli italiani hanno ereditato il palese bisogno della semplificazione, della disintermediazione, della chiarezza, della personificazione. E se anche questa tendenza non è ancora stata codificata nelle regole, siamo di fronte ad un’inarrestabile a dinamica della società, non solo italiana, e non possiamo farci niente. Tanto che ormai neologismi quali “inciucio”, “ribaltone”, “voltagabbana”, “responsabili”, “ad personam” e “personalizzazione” – come anche l’intoccabile e lontana “casta” di “privilegiati” che se la gode alla faccia dei cittadini – sono entrati diventati di moda fino a entrare nel gergo comune.
Ora, al netto delle esasperazioni tattiche, non è un caso che le due forze che hanno ottenuto maggiore successo alle ultime elezioni siano state proprio le stesse due che hanno invocato il diritto ad andare a Palazzo Chigi. Chi con “Salvini premier”, chi presentando via email una lista di ministri al Quirinale. Ora, anche se tutti sappiamo, compresi i diretti interessati, che i ministri vengono nominati dal Quirinale, che non esiste la figura del premier ma solo di un presidente del Consiglio dei ministri “primus inter pares”, che siamo una democrazia parlamentare e che nemmeno più la legge elettorale prevede l’indicazione del premier, è pur vero che è questo l’atteggiamento che gli italiani hanno premiato.
È stato così con Berlusconi. E anche con Prodi e Renzi, a modo loro. E adesso lo è con Di Maio e Salvini. Il leaderismo come frutto certificato della Seconda Repubblica, è un fenomeno globale e crescente con molte ragioni storiche e sociologiche, ma che in questa ipotetica Terza non può essere né ignorato né semplicemente respinto. Se è vero che alcune democrazie mature funzionano bene anche con un sistema proporzionale, come la Germania, è anche vero che tale “gap” è contemperato da uno sbarramento al 5%, da partiti forti e radicati, dalla sfiducia costruttiva o dal potere di nomina e revoca dei ministri da parte del Cancelliere. Oppure, come in Spagna, con un sistema su circoscrizioni regionali talmente ampie da avere effetti maggioritari.
Ora, non sappiamo quanto durerà al XVIII legislatura, ma certo la sua nascita certifica ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, una richiesta diffusa, invocata da molti individui e in tutti gli strati della popolazione: meccanismi chiari, lipidi, lineari. Non perché il sistema pre-1994 fosse peggiore, ma perché è cambiata la domanda politica.
Ecco che, quindi, se anche il 4 marzo fosse nata la Terza Repubblica, “quella dei cittadini”, essa non avrà un lungo futuro se ritorna al passato della Prima e dimentica la recente eredità della Seconda. (Public Policy)
@GingerRosh