A 39 anni dalla legge Basaglia, al Senato si parla di contenzione

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di Luca Iacovacci

ROMA (Public Policy) – Verificare la diffusione della pratica della contenzione fisica all’interno delle strutture sociali e sanitarie pubbliche e private, come ospedali, cliniche e case di cura, e l’esistenza, l’eventuale modalità di applicazione e l’adeguatezza delle discipline legislative e regolamentari sulle pratiche in materia di contenzione.

È questo l’obiettivo di una proposta di inchiesta parlamentare, a prima firma di Nerina Dirindin (Mdp), assegnata alla commissione Sanità del Senato. La contenzione, spiega la relazione illustrativa, è definita come l’insieme di mezzi fisici, chimici e ambientali che, in qualche maniera, limitano la capacità di movimenti volontari dell’individuo.

I più utilizzati, si legge ancora, sono “le fasce con cinghie da avvolgere a polsi e caviglie e successivamente bloccare alle quattro estremità del letto; le fasce poste sul busto del soggetto e fissate al letto; le sponde, o barriere metalliche, ancorate ai quattro angoli del letto; corsetti e fasce per carrozzine”.

In che modo, si chiede Dirindin, “possiamo definire legittima una pratica che non trova alcun fondamento nelle nostre leggi, e che si sostanzia, troppo spesso, in un accanimento su donne e uomini sofferenti, costretti a rimanere imprigionati per ore, se non giorni, a un letto? I casi di utilizzo di questa pratica sono, purtroppo, frequenti e, negli ultimi anni, si sono potute conoscere alcune vicende che hanno avuto l’esito tragico del decesso della persona cui era stata applicata la contenzione”.

Perchè, dunque, la proposta di istituire una commissione d’inchiesta? Perchè, per Dirindin, c’è una “scarsa, se non nulla, disponibilità di ricerche scientifiche sul tema, di dati accessibili e conoscibili a livello nazionale, di informazioni e adeguate garanzie tanto per i pazienti quanto per i loro familiari”.

LA COMMISSIONE D’INCHIESTA

L’articolo 1 del progetto prevede la commissione concluda i propri lavori entro 6 mesi dalla sua costituzione, con possibile proroga di una sola volta, sempre per 6 mesi, disposta dal presidente del Senato, su “motivata richiesta della commissione stessa”.

La commissione è composta da 20 senatori, e procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le medesime limitazioni dell’autorità giudiziaria. Non è opponibile ai commissari, dunque, il segreto d’ufficio o quello professionale, “fatta eccezione per il segreto tra difensore e parte processuale nell’ambito del mandato”.

Obbligo di segreto, invece, per componenti, funzionari e personale addetto. Le spese per il funzionamento della commissione, che svolge sedute pubbliche in via generale, ammontano a 150mila euro e si rivalgono sul bilancio interno di Palazzo Madama.

Il presidente del Senato, su proposta di quello della commissione (che deve dotarsi di un regolamento interno ad hoc per il funzionamento), può comunque autorizzare un incremento, di massimo 45mila euro. (Public Policy)