di Carmelo Palma
ROMA (Public Policy) – Ci sono molte ragioni per sospettare che i pericoli connessi al cosiddetto premierato elettivo, che è stato licenziato dal Senato in prima lettura, non siano solo nell’anomalo combinato disposto tra elezione diretta del capo del Governo ed elezione semi-indiretta delle camere, per l’effetto di trascinamento che la prima ha sulla seconda, attraverso il premio di maggioranza.
Il pericolo sta anche e soprattutto nei possibili effetti a catena che la blindatura delle maggioranze parlamentari e dell’Esecutivo nazionale, pena lo scioglimento di Camera e Senato, avrà in un Paese che in passato ha dovuto ricorrere al massimo della flessibilità istituzionale e della fantasia politica, per mettere precipitosamente in pista governi d’emergenza, di fronte all’inefficienza o al vero e proprio default di esecutivi pure inizialmente assistiti da ampie maggioranze di deputati e senatori e a volte pure da una diretta investitura popolare.
L’illusione o l’inganno che questa legge propaganda – sulla scia di una retorica che peraltro ha accompagnato per mezzo secolo tutti i tentativi di Grande Riforma e non è certo dilagata solo con il Governo Meloni – è che l’inefficienza della politica italiana sia sempre sostanzialmente dipesa da un difetto di potere degli Esecutivi o di legittimazione elettorale delle maggioranze e non da un difetto di responsabilità da parte di tutti gli attori del processo democratico: partiti, eletti ed elettori.
Gli svariati e continui tentativi di rendere la democrazia italiana “decidente”, che culminano con il cosiddetto premierato elettivo, ma che hanno attraversato gli ormai lunghi decenni tra la fine della Prima Repubblica e l’agonia della Seconda, si sono infranti di fronte a un problema più etico-politico che istituzionale, relativo proprio alla qualificazione della decisione politica e dell’efficienza a questa richiesta, che si è vieppiù allontanata da indicatori oggettivi e condivisi – Pil, produttività, occupazione, redditi, tassi di istruzione superiore e universitaria, funzionamento della Pa – per disperdersi in una ridda di utilità soggettive e particolaristiche, contese e propiziate nelle transazioni di una degradatissima democrazia di scambio: anticipi pensionistici, bonus fiscali, rendite territoriali e di categoria, legislazioni ad hoc e regolazioni “sartoriali” ecc. ecc.
Tutti proclamavano l’esigenza di istituzioni più efficienti, proprio nel momento in cui scompariva un’idea condivisa e democraticamente compatibile di efficienza politica e di interesse generale.
L’errore di fondo – possiamo dire con il senno di poi, in un’Italia in cui la seduzione della riforma dello istituzioni non ha risparmiato nessuno – è stato continuare a chiedersi quale forma di governo, quale legge elettorale, quale riforma costituzionale fosse democraticamente ottimale in un Paese, in cui la democrazia stessa si era ormai pervertita e ignobilmente sudamericanizzata e in cui la spesa pubblica era da tempo immobilizzata, con effetti difficilmente reversibili, al servizio del mercato elettorale.
Il processo di radicale bipolarizzazione imposto da leggi elettorali variamente maggioritarie per il Parlamento, le Regioni e i Comuni non ha arginato, ma aggravato la degenerazione delle istituzioni politiche in senso “estrattivo”, con la finalizzazione delle scelte pubbliche alla garanzia di vantaggi (di ogni tipo: da quelli monetari a quelli identitari) per i gruppi costitutivi della compagine di governo e non con l’allargamento, in senso “inclusivo”, delle condizioni di crescita civile, sociale e economica per la generalità della popolazione.
In alcune aree territoriali, massimamente in alcune regioni del Sud, questo processo è drammaticamente confermato anche dal trade-off tra risultati elettorali e risultati di governo e dall’autoperpetuazione di satrapie elettive democraticamente inamovibili in condizioni di degrado civile e economico, che non dovrebbero suscitare consenso, ma rivolta.
Il premierato elettivo, presumibilmente, radicalizzerà non solo la dinamica bipolare, ma anche quel processo di alienazione politica estremistica, che è caratteristica di molte democrazie contemporanee, non causalmente – come ha ricordato Mario Monti nel suo intervento al Senato – a partire dalle due (la Francia e gli Stati Uniti) in cui la legittimazione popolare del capo del Governo è più forte e il potere presidenziale più incondizionato. (Public Policy)
@carmelopalma