di Massimo Pittarello
ROMA (Public Policy) – Quello sulle concessioni balneari potrebbe essere solo il primo round della resa dei conti tra Governo e maggioranza. Perché ci sono due terreni di scontro. Uno di politica interna, su temi delicati e identitari per forze politiche che si avvicinano alle elezioni. In tale contesto il Governo forza la mano, chiedendo la fiducia sul ddl Concorrenza, e arriva all’aut aut come già avvenuto in passato su green pass, vaccini e fisco. Tuttavia il fronte decisivo è quello della politica estera, raramente così determinante. Oltre alle spiagge di Forte dei Marmi il Parlamento dovrà infatti decidere che posizioni prendere su quelle che affacciano sul Mar d’Azov.
Giovedì Draghi ha reso in Parlamento le comunicazioni relative alla guerra in Ucraina, richiamando le risoluzioni approvate a larga maggioranza con le quali Camera e Senato hanno impegnato “a sostenere l’Ucraina e a tenere alta la pressione sulla Russia”. In Parlamento, comunque, si è assistito a un dibattito svogliato in cui però il Movimento 5 stelle, dopo aver evocato la crisi per la questione della commissione Esteri di Palazzo Madama, ha comunque chiesto al presidente del Consiglio di tornare in aula prima del Consiglio europeo straordinario di fine mese. Salvini ha ringraziato Draghi per aver parlato di pace con Biden – tentativo poco efficace di convertire l’atlantismo del Governo su posizioni più morbide verso Mosca – ma non ha mancato di ribadire contrarietà all’invio di nuove armi. I distinguo, verbali, sono marcati. Il Quirinale non vuole strappi sulla politica estera e si muove affinché la maggioranza si mostri unita.
Ma evidentemente non lo è e non lo sarà, almeno finché non ci sarà la resa dei conti parlamentare, che prima o poi arriverà comunque. Una volta in aula, si potrà misurare la differenza tra le invettive di Lega, M5s e perfino Forza Italia, e i voti parlamentari. Nonostante le prese di posizione i grillini non vogliono andare all’opposizione (tanto è vero che in questa legislatura hanno ingoiato di tutto pur di rimanere al Governo) e gli errori politici di Conte rendono deboli le posizioni del Movimento. Qualcosa di simile vale per il Carroccio, dove la faglia tra la segreteria in perdita di consenso e il corpaccione settentrionale del partito è decisamente profonda.
Per adesso Palazzo Chigi e Quirinale non vogliono arrivare alla conta. Però così si lascia spazio alla bagarre verbali. Il punto è che una maggioranza logorata può essere peggio di una spezzata o priva di qualche pezzo. Per adesso Draghi ha deciso di forzare la mano su una questione di politica economica interna (le concessioni balneari), con la motivazione che si tratta di un provvedimento necessario per dare corso al Pnrr. Poiché nessuno vuole scossoni, è prevedibile che vada in porto. Bisogna chiedersi cosa accadrà sulla guerra in Ucraina.
Se pure non sarà il Governo a chiedere il voto su questioni specifiche, come l’invio di nuove armi, bisognerà infatti obbligatoriamente rispondere alla richiesta formale di Svezia e Finlandia di entrare nella Nato. Qualcuno voterà no, prendendo ufficialmente posizioni per adesso annunciate solo in tv? Conte o Salvini si assumerebbero la responsabilità di votare contro la linea atlantista del governo, ponendosi in una netta posizione di marginalità internazionale. E, eventualmente, rimarrebbero alla guida dei rispettivi partiti? Oppure tutte le forze di maggioranza diranno di sì? Nel qual caso sono comunque pronosticabili spaccature interne sia ai partiti che alle coalizioni, attraversate da differenze insanabili sulla politica estera, che poi sono scelte di campo tra democrazia e autocrazia. Comunque vada, sono in arrivo ulteriori elementi di decomposizione di un quadro politico in completo rimescolamento.
Certo, potremo aspettare che la Turchia dica di no, evitando di prendere posizione (ma il niet di Ankara non è scontato). Accadde qualcosa di simile nel 2008 quando attendemmo che furono Merkel e Sarkozy a bloccare l’ingresso di Georgia e Ucraina nella Nato. Tuttavia la questione non può essere rimandata in eterno. Dall’estero guardano al rinnovato ruolo strategico dell’Italia, quasi come fosse tornata la Guerra fredda. Tanto più che Mosca ha investito molto nella politica italiana e nessun altro Paese sulla guerra ha posizioni dubitative come le nostre. È davvero il caso di rimandare la resa dei conti, oppure forse meglio arrivare una volta per tutte a scoprire le carte? (Public Policy)
@m_pitta