di Fabio Napoli
ROMA (Public Policy) – Mirko Tutino, dal 2014 assessore ai lavori pubblici, ai trasporti e all’ambiente del Comune di Reggio Emilia. Consulente in materia di servizi ambientali e vicepresidente del consiglio d’ambito di Atersir, l’autorità d’ambito regionale in materia di servizio idrico e di rifiuti.
Eletto con il Pd, nel 2017 è uscito per entrare nell’associazione Democratici socialisti del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi. Oggi è candidato per la Camera con Liberi e uguali all’uninominale nella sua città contro uno dei big del Pd, il ministro dei Trasporti Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia per dieci anni.
D. Partiamo dalla sua esperienza sui rifiuti. Nel suo programma mette in evidenza di essere riuscito a chiudere due discariche e un inceneritore. Qual è la sua posizione su questo tema?
R. In termini di obiettivi la mia idea è che si debba porre non solo un obiettivo nazionale ma un obiettivo regione per regione che ponga una soglia minima di raccolta differenziata, da ottenere con un percorso a tappe forzate che non guardi a dieci o venti anni ma a tre o quattro anni. Inoltre serve coordinare l’attività di raccolta dei rifiuti definendo con un piano gli strumenti che ogni Comune deve adottare: porta a porta, tariffa puntuale, obiettivi da superare.
Da questo ultimo punto di vista l’obiettivo di raccolta differenziata al 70% credo sia raggiungibile. Nel nostro Comune lo abbiamo fatto in pochi anni con un piano di sviluppo del porta a porta che ha premiato chi ha differenziato, e questo ha portato ad un abbattimento della quantità di rifiuti residui che non ha reso più necessaria la costruzione del nuovo inceneritore in sostituzione dell’esistente.
L’idea quindi è del superamento degli impianti di smaltimento con una tendenza che in pochissimi anni sviluppi una politica coordinata di raccolta premiando chi fa la differenziata. Da questo punto di vista il fatto che la Pianura Padana abbia al momento 26 inceneritori sbloccati dallo Sblocca Italia è un problema da superare.
D. Continuando a parlare di ambiente qual è la sua posizione sul tema della gestione dell’acqua, alla luce anche della sua esperienza in una autorità d’ambito?
R. Sulla gestione dell’acqua torniamo al 2011, quando il referendum ha fermato il processo forzato di privatizzazione che imponeva il Governo Berlusconi e il ministro Tremonti. Dal 2011 a oggi è cambiato poco o nulla. È sparita la legge che impone le privatizzazioni ma non si è fatta nessuna strategia nazionale su come le comunità locali che hanno interesse a salvaguardare le gestioni pubbliche possano farlo pretendendo che queste abbiano dei criteri di efficienza e di qualità.
Io la vedo molto semplicemente, ho le stesse posizioni che ha Jeremy Corbyn in Inghilterra: il pubblico deve essere la modalità naturale per la gestione di questi servizi. Le regole europee non consentono di imporre la gestione pubblica nazionale, quindi è possibile per un territorio comunale fare le gare ma le leggi devono consentire sempre la reversibilità di qualsiasi decisione e devono sostenere le realtà che decidono di andare in affidamento diretto ad aziende pubbliche pretendendo qualità in termini di risorse, investimenti e statuti democratici.
L’altro punto che riguarda l’acqua è l’inadeguatezza delle agenzie d’ambito che devono fare attività di controllo sulla qualità degli investimenti e sulla regolazione tariffaria. Occorre definire a livello nazionale una modalità con la quale le Regioni definiscono le agenzie d’ambito, che devono poter assumere personale e tecnici.
D. Da poco il Governo ha adottato la nuova Strategia energetica nazionale. Che cosa ne pensa e come dovrebbe essere attuata nei prossimi anni?
R. Credo che qualsiasi Strategia energetica nazionale – di questa condivido gli obiettivi perché sono in linea con l’Europa – debba misurarsi con la concretezza e con strategie che operativamente favoriscano lo sviluppo delle energie rinnovabili. Uno dei problemi di fondo però è la scelta delle energie rinnovabili.
Per esempio parlare di biomasse o di biogas è semplice ma se il biogas viene prodotto sostituendo delle coltivazioni, di fatto stiamo generando un danno; al contrario se parliamo di trattamento dei liquami, penso per esempio al bacino padano, o di trattamento dei rifiuti umidi, e qui posso pensare a tutto il Paese, si fa qualcosa di positivo perché si risolve un problema attraverso impianti che portano energia tutto l’anno.
Lo stesso discorso si può fare con il solare: quello a terra toglie terreno agricolo, quello in copertura è positivo. Sono più scettico sull’eolico perché in linea generale in Italia non abbiamo tanto territorio che si può sfruttare in questo senso. Mentre sull’idroelettrico siamo quasi arrivati ad un punto di saturazione perché oggi tutto quello che si poteva sfruttare è stato già sfruttato. Il potenziale più rilevante è la riduzione dei consumi, da questo punto di vista bisogna incentivare gli interventi sul patrimonio edilizio.
D. Qual è la sua posizione rispetto alle grandi opere, anche quelle energetiche come la Tap?
R. Rispetto alle politiche energetiche, ad oggi abbiamo già una attività di ricerca ed estrazione autorizzata e quella può essere completata. Mi sono opposto, quando ci fu il referendum sulle trivelle, al prolungamento delle concessioni che portava con sé il rinvio delle attività di ripristino. Sono contrario alle trivellazioni nella Pianura Padana, un po’ perché le risorse sono state già sfruttate in passato dall’Eni ma soprattutto perché queste attività di ricerca servirebbero più che altro a progettare dei siti di stoccaggio. Siti che sotto 20 milioni di persone in un’area vulnerabile dal punto di vista sismico sarebbero nocivi.
Dal punto di vista dell’approvvigionamento da altre nazioni, credo che bisognerebbe aprire un tema di trasparenza rispetto a come ci si sta approvvigionando da Paesi che hanno delle condizioni problematiche dal punto di vista democratico, penso per esempio al Nord Africa o, per certi aspetti, alla Russia. Quindi occorre arrivare ad un graduale superamento dell’importazione da questi Paesi, anche se mi rendo conto che non è una cosa semplice e che non ci si arriva in un attimo. Sul Tap non ho studiato il dossier ma, in generale, ritengo che una interlocuzione con le istituzione locali vada sempre cercata.
D. Nella Sen un capitolo importante è dedicato ai trasporti. Qual è la sua posizione su questo tema?
R. C’è innanzitutto un problema di risorse. Il Fondo nazionale sul trasporto pubblico locale ad oggi è insufficiente. Noi abbiamo una rete ad altissima qualità, per quanto riguarda l’alta velocità, che collega Napoli a Torino ma non abbiamo in tutto il resto del Paese adeguate risorse per sostenere il trasporto dei pendolari. Faccio riferimento al trasporto regionale e al trasporto su gomma, che nelle città di medie dimensioni come la mia non avendo un bacino di utenza in grado di generare un beneficio economico produce un servizio di scarsissima qualità.
Ad esempio nella Pianura Padana un aumento degli investimenti sul trasporto pubblico locale avrebbe un forte impatto sulla qualità dell’aria. Quindi va bene quello che propone il ministro Delrio quando parla di rinnovo dei mezzi, mi va meno bene però la modalità con la quale vuole perseguire questo obiettivo, perché non credo che l’accorpamento in grandi società di trasporto e la privatizzazione di queste società sia una ricetta.
Per me si deve individuare un bacino ideale in termini di dimensione, se una società è troppo piccola si propone l’accorpamento, si individua un piano di investimenti retto da un contributo pubblico garantito nel tempo, si pretendono standard in termini di recupero dell’evasione – e in parte questo il Governo lo ha fatto -, si prevede un piano per la sostituzione dei mezzi e alla fine si ha un servizio di maggiore qualità.
Nei piccoli centri abitati si può fare un ragionamento anche su forme sperimentali di coinvolgimento dei servizi navetta, come gli ncc, e poi si deve lavorare sulle interconnessione ferro e gomma che oggi manca. Difficile che lo possa fare un ministro che nel decennio in cui ha fatto il sindaco non ha sostituito nemmeno un mezzo di trasporto pubblico della sua città.
D. Il suo principale avversario a Reggio Emilia è proprio il ministro dei Trasporti Graziano Delrio, che è stato sindaco Pd nella sua città per dieci anni. La consiliatura successiva lei è entrato in municipio da assessore Pd. Immagino quindi che in questi anni si sia mosso in continuità con le politiche di Delrio. È esatto o la sua è stata una azione in discontinuità?
R. La continuità sicuramente c’è stata su due filoni. Il primo ha riguardato l’evoluzione delle politiche di raccolta differenziata: nel mandato di Delrio sono stati adottati degli indirizzi che ho condiviso; ma io sono andato oltre e li ho attuati. Nel suo mandato infatti ci si è fermati alla fase di avvio, tra le altre cose senza nemmeno coinvolgere gli altri comuni del territorio in una logica che rendesse l’obiettivo del comune l’obiettivo di tutta una comunità provinciale e regionale.
Il secondo filone è stata la mobilità ciclopedonale e da questo punto di vista ho lavorato in totale continuità rispetto a Delrio. Sulle politiche del trasporto pubblico invece ho lavorato in totale discontinuità rafforzando il ruolo dell’azienda locale, che ha rinnovato i mezzi e ha investito nelle corsie preferenziali. Inoltre ha lavorato su fermate più sicure, ha riorganizzato le percorrenze e tutto questo con pochissime risorse perché il Fondo nazionale non è stato alimentato.
D. E rispetto all’operato di Delrio come ministro che cosa non condivide?
R. A livello nazionale quello che rimprovero è una attenzione al trasporto pubblico molto concentrata sugli assetti societari ed in particolare ai processi di privatizzazione e di consolidamento dei monopoli, senza pensare a come far funzionare davvero le aziende pubbliche.
Contesto l’idea per cui basta qualche fondo a pioggia per poter dire di aver rinnovato i mezzi, quando invece servono delle strategie molto più coordinate. Ma l’elemento che non ho condiviso in assoluto è la gestione delle concessioni autostradali, che ha portato dei rincari molto pesanti e che prevede opere pubbliche del tutto inutili, come l’ampliamento di rami autostradali in Nord Italia che non hanno un rapporto costi-benefici tale da giustificare la costruzione di queste opere. Contesto inoltre il fatto che si continui a parlare di ponte sullo stretto di Messina.
D. Se dovesse entrare in Parlamento quali commissioni sceglierebbe e quali sono i primi provvedimenti sui quali si concentrerebbe?
R. Sceglierei Ambiente, Trasporti o Affari istituzionali. Le prime due per ciò che ho seguito nel tempo; la Affari istituzionali perché sono laureato in diritto amministrativo e per me l’analisi delle istituzioni e delle normative elettorali è sempre stata una passione, al netto delle conoscenza più tecnica in materia ambientale che oggi per me è anche una professione.
Per quanto riguarda gli obiettivi sono due le normative sulle quali mi metterei subito a lavoro: una legge quadro sul bacino padano che individui delle strategie ad hoc per migliorare la qualità dell’aria e l’ecosistema padano passando per tutti gli elementi che abbiamo citato; e poi una legge sui beni comuni, quindi sulla gestione dei beni pubblici locali che riprenda e attui il referendum del 2011. (Public Policy)
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