Riforme, ok dalla commissione Giustizia. Ma si chiede l’immunità anche per il Senato

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ROMA (Public Policy) – Sarebbe “opportuno” che il regime dell’immunità parlamentare e le richieste di autorizzazione all’uso delle intercettazioni dei parlamentari “sia mantenuto” anche “in capo ai componenti del Senato delle Autonomie“. È quanto chiede, in una delle sei osservazioni al ddl Riforme, la commissione Giustizia al Senato, che ha espresso parere favorevole al disegno di legge del governo, ma con alcune richieste di modifica.

Il tema dell’immunità dei senatori è tornato a far discutere dopo la presentazione degli emendamenti dei relatori al ddl: tra questi, infatti, uno ripropone il regime dell’immunità anche per il futuro Senato. Alle critiche arrivate dai gruppi politici (in particolare M5s e la minoranza Pd) ha risposto la ministra Maria Elena Boschi che ha ricordato che l’emendamento non è stato un’idea del governo.

Ma come ha ricordato la presidente della commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro, il governo era stato informato di tutti gli emendamenti messi a punto dai relatori, compreso quello contestato. Per questo, secondo quanto si apprende, a questo punto la linea del premier è la ‘riduzione del danno’, ovvero la messa in sicurezza della riforma del Senato, anche a costo di accollarsi l’impopolarità del ripristino dell’autorizzazione a procedere per i senatori.

In particolare, si legge nel parere, le modifiche apportate all’articolo 68 della Costituzione, “tendono a creare un sistema di prerogative differenziato tra i componenti del Senato e quelli della Camera”. Secondo la commissione, questa modifica “determinerebbe comunque l’esigenza di un successivo intervento a livello di disciplina di rango primario sulla legge n. 140 del 2003 che attualmente regola la disciplina delle prerogative parlamentari anche con riguardo ai rapporti tra i membri del Parlamento e la magistratura ordinaria, nonché in relazione ai diritti dei soggetti terzi a vario titolo coinvolti nei procedimenti penali e civili che vedono come parte i componenti di entrambe le Camere”.

Inoltre, nel parere i senatori puntualizzano anche sulla modifica dell’articolo 135 della Costituzione e in particolare sull’elezione dei giudici chiamati a deliberare sulla messa in stato di accusa del presidente della Repubblica. Quindi, si chiede che l’elezione dei 16 giudici sia differenziata rispetto a quella dei componenti della Corte costituzionale (visto che al momento le modalità di elezione sono le stesse).

E ancora: “Estendere la legittimazione elettorale attiva per i 5 membri di provenienza magistratuale (per la Corte costituzionale; Ndr) anche agli appartenenti delle magistrature ordinaria e speciale diversi da quelli delle giurisdizioni superiori”. Per quanto riguarda, invece, l’elezione dei componenti laici del Consiglio superiore della magistratura, la commissione osserva “che il ridotto numero dei senatori rispetto a quello invariato dei deputati, potrebbe determinare una riduzione del ruolo e dell’incidenza di questa assemblea, anche con riferimento ai quorum richiesti per la funzione elettiva demandata al Parlamento in seduta comune”.

Infine, nel parere viene evidenziato che nella ratifica dei trattati internazionali “sussiste l’esigenza di preservare, in capo al Senato, alcune delle competenze che riguardano gli accordi che prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, nonché importano variazioni del territorio”. Questa osservazione – si legge – “è supportata dal fatto che rimarrebbe invariato il vigente articolo 117 che prevede la competenza delle Regioni a concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato; per coerenza sistematica, sembrerebbe peraltro opportuno che anche tale ultima competenza legislativa fosse inserita tra quelle sottoposte ad esercizio collettivo delle due Camere“. (Public Policy)

SOR