Senza M5s salta la maggioranza di unità nazionale

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di Leopoldo Papi

ROMA (Public Policy) – La cifra politica del Governo Draghi è stata, fin dall’inizio, quella del Governo di unità nazionale sotto l’egida del presidente della Repubblica: un Esecutivo sostenuto da una maggioranza il più possibile estesa a tutte le forze parlamentari disponibili a parteciparvi, rappresentata anche nella composizione dello stesso Governo.

La scelta di Draghi di portare tutte le forze politiche della maggioranza nel perimetro del Consiglio dei ministri era, con tutta evidenza, determinata dall’obiettivo di provare a moderarne la conflittualità interna, coinvolgendole nelle decisioni e quindi responsabilizzandole. Le forze parlamentari avrebbero avuto più difficoltà a boicottare o contestare le iniziative avvallate dai loro stessi rappresentanti nell’Esecutivo.

La decisione di non votare la fiducia al Governo da parte del Movimento 5 stelle sul decreto legge Aiuti in esame al Senato, mette radicalmente in crisi questo assetto. Senza M5s, viene meno il criterio della rappresentanza trasversale che è il requisito politico di un Governo di unità nazionale. Si spiega in questi termini la ferma presa di posizione del premier, già espressa a fine giugno, sull’indisponibilità a guidare un Governo con una qualsiasi maggioranza diversa da quella attuale, e quindi priva del sostegno formale del Movimento.

In assenza dei 5 stelle, d’altronde, il baricentro della maggioranza parlamentare si sposterebbe a destra, sia alla Camera e al Senato, dove Lega e Forza Italia otterrebbero un maggior peso relativo. Verrebbe meno la maggioranza di unità nazionale, “politicamente neutra”, che partiti ideologicamente incompatibili tra loro avevano deciso di formare accantonando in via provvisoria le loro istanze identitarie, almeno per ciò che concerne il sostegno all’azione di Governo.

All’incompatibilità tra forze politiche subentrerebbe l’incompatibilità tra una maggioranza connotata politicamente e il profilo di Draghi, designato da Mattarella proprio per la terzietà istituzionale legata alla sua personale autorevolezza. Risulterebbe peraltro incomprensibile un premier tecnico ‘terzo’ che si presta a soddisfare le istanze di un’area politica, quando potrebbe essere quella stessa parte politica a governare secondo la propria visione del mondo, vincendo le elezioni. (Public Policy)

@leopoldopapi

(foto cc Palazzo Chigi)