Twist d’Aula – C’è vita dopo il Recovery?

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – L’ottimismo aiuta, ma potrebbe non bastare. Come il Recovery: utile ma, da solo, non sufficiente. D’altra parte la ripresa economica prevista per i prossimi anni è sicuramente necessaria a recuperare i livelli pre-pandemia, ma non abbastanza per risolvere i vecchi problemi, quelli che ci affossavano al limite della recessione già in era AC (Ante-Covid). Perché, se ce lo fossimo dimenticati travolti da un dramma più grande, non è che prima della pandemia l’Italia navigasse in acque serene. Per questo i temi in discussione in Parlamento, dal fisco alla concorrenza, dalla giustizia alla semplificazione, dagli interventi sulla Pubblica amministrazione fino ai decreti attuativi da approvare nei ministeri, sono fondamentali tasselli del nostro futuro.

Draghi e Franco hanno rivisito al rialzo le stime per il 2021: dal 4,2% ipotizzato dalla Commissione europea e dal 4,5% stimato nel Def, sono arrivati a pronosticare +5%. Ci sono incognite, come le varianti del virus, l’inflazione, l’uso delle risorse a disposizione. Tuttavia, anche ipotizzando che tutte le tessere del mosaico vadano al loro posto, a fine del 2022 ci ritroveremmo ad aver recuperato i quasi 9 punti di pil persi nel 2020 ma, una volta finite le risorse del Recovery, saremmo al punto di partenza. Proprio il Governo, per esempio, stima che nel 2026 l’incidenza del Piano sarà di appena 3,5 punti percentuali aggiuntivi. Per cui, finita la spinta del Pnrr, ci ritroveremmo con tassi di crescita nuovamente asfittici, ma con un debito pubblico più grande e difficile da sostenere (dal 135% al 160% del pil). E, forse, tassi di interesse più alti.

Il Next Generation Eu è infatti uno strumento, temporaneo, pensato per sanare le ferite inferte dal Covid, non per accorciare le differenze preesistenti. Che invece aumentano. Per esempio, se nel 2020 noi abbiamo ceduto l’8,9%, la media europea è stata del 6,6%. A fine 2022 noi dovremmo aver recuperato il perduto, mentre gli altri dovrebbero essere arrivati più lontani. Perfino la Spagna, che l’anno scorso ha fatto peggio (-10,8%) è però accreditata di una crescita del 12,7% nei prossimi due anni. A questo aggiungiamo il dato che, ancora a dicembre 2019, solo noi e la Grecia non avevamo recuperato i livelli del 2008. Le differenze ci sono, evidenti. E rischiano di ampliarsi. L’Italia, per esempio, è l’unico Paese che oltre ai sussidi utilizzerà integralmente i prestiti dei fondi europei: 122 miliardi che, seppur a condizioni favorevoli, andranno ad ingrandire ulteriormente il livello del debito pubblico.

Detto in soldoni, affinché l’Italia recuperi almeno in parte il gap accumulato negli ultimi 25 anni è necessario che per qualche anno il tasso di crescita stia stabilmente sopra il 3%. Tra Palazzo Chigi e Via XX Settembre, al riguardo, si ripete spesso che il Piano europeo non sono finanziamenti accompagnati da riforme, ma riforme sostenute da aiuti. A ben guardare, altra soluzione non c’è. Gli interventi necessari sono molti e il mantra è “il ponte si attraversa quando ti ci trovi di fronte”. Una cosa alla volta. Per adesso il Governo ha ottenuto buoni risultati sulla campagna vaccinale, sul Pnrr, perfino sullo spirito di fiducia che c’è nel Paese. Ora arrivano sfide più insidiose: fisco, burocrazia, concorrenza, appalti. Nel suo ultimo discorso Draghi ha ricalibrato prospettive e obiettivi. Vedremo se il percorso sarà, silenzioso e lineare, come quello attraversato finora. Un po’ di fiducia è arrivata. Adesso serve tutto il resto. (Public Policy)

@m_pitta