Twist d’Aula – I sovranisti alla prova del (difficile) campo da gioco Ue

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) –Quando tra qualche ora si sarà posata la polvere di una campagna elettorale troppo sbilanciata sui temi nazionali, e non solo in Italia, sarà più facile cominciare a trarre qualche conclusione su cosa rappresenta e cosa ha rappresentato questa tornata elettorale. Tuttavia più di una tendenza emerge chiara già ora.

La prima, per esempio, è che nello spostamento a destra dell’elettorato europeo, l’avanzata dei sovranisti va letta nei numeri e misurata nel suo reale effetto sugli equilibri del prossimo Parlamento. Al momento i Conservatori hanno 69 deputati e i Sovranisti 49. Insieme arrivano 118. Ora, ipotizzando che riescano a fare un gruppo unico – cosa non affatto scontata – secondo i più rosei sondaggi, e senza calcolare l’esclusione dei tedeschi di Afd, potrebbero arrivare al massimo a 150 scranni. Un buon risultato, certo, ma che sarebbe comunque inferiore a quelli dei Popolari, e su livelli simili dei Socialisti. E comunque non sufficiente a dare le carte nella partita delle nomine.

Questo “ottimo” risultato non garantirebbe infatti, da solo, che la nuova maggioranza sia diversa dalle ultime due (cioè quelle composte da Popolari, Socialisti e Liberali). Anche perché Socialisti e Liberali continuano a dire “mai con Conservatori e Sovranisti”. E viceversa. Conti alla mano Popolari e “Destre” (ECR e ID), da soli, non potranno potranno avere la maggioranza. Ora, poiché “in politica le cose che si dicono valgono nel momento in cui si dicono” (come ripete spesso un vecchio democristiano), forse un accordo dopo il voto si può anche ipotizzare, ma a quale prezzo? Un prezzo di credibilità e compromesso che per i partiti di destra (e qui arriviamo alla seconda evidenza) sarebbe inoltre aggiuntivo rispetto a quello già pagato con l’assunzione di una postura più istituzionale, a volte perfino più europeista (o meno euroscettica). Lo ha fatto ultimamente Le Pen. Da tempo è la strategia di Meloni. E infatti entrambe conquistano spazio e voti.

Con un sistema presidenziale o di elezione diretta del premier (guardiamo i casi di Biden, di Johnson, di Milei) potrebbe essere diverso, ma in un Parlamento eletto con sistema proporzionale, e oltretutto su un ampio bacino di Paesi che attutisce qualunque boom di singole formazioni nazionali – il 20% in più in un grande Paese sono a malapena 10 deputati su una Assemblea di 720– per poter contare qualcosa bisogna obbligatoriamente assumere toni più istituzionali. Lo sanno tutti, tanto è vero che oggi (a parte i nostalgici di Afd) non c’è nessuno che dice di voler uscire dall’euro. Ne i grillini, né i leghisti, né i lepenisti. Tutti illuminati sulla via di Damasco.

Ma c’è un altro punto che emerge chiaramente da queste elezioni. Per quanto i temi delle piattaforme politiche vengano declinate su temi nazionali, i punti importanti si fanno a livello internazionale. La partita su chi sarà il prossimo Presidente della Commissione, del Consiglio, l’Alto Rappresentante della Politica estera si gioca già da settimane tra Berlino, Parigi, Roma e Bruxelles. Accadeva anche prima, si intende, ma ora è evidente e pubblico. Fa parte dell’offerta agli elettori. Quando Salvini mette il veto su Macron o Renzi su von der Leyen, la politica si fa su uno scenario continentale.

D’altra parte – e qui forse arriviamo alla considerazione più strutturale – cinque anni fa per la prima volta si è parlato di Spitzenkandidat, cioè del frontman di ogni partito europeo. Da allora le cose sono molto cambiate. Non solo perché quei nomi sono ora spendibili verso l’elettorato europeo, ma perché in questi 5 anni c’è stata la prima emissione di debito comune con il Next Generation Eu e il fondo Sure, la reazione all’invasione russa dell’Ucraina (anche se con intensità intermittente), il tetto al prezzo del gas e gli acquisti comuni di vaccini anti-Covid, il Green Deal e perfino una prima missione militare congiunta nel Mar Rosso. Insomma, migranti, energia, industria, difesa, commercio, bilancio. Oggi tutti i grandi temi passano per Bruxelles. Qualcosa che, anche senza poterlo dire apertamente, sanno anche i sovranisti. Che potranno anche ottenere un grande risultato questo weekend, ma non potranno cambiare il campo da gioco. (Public Policy)

@m_pitta