di Leopoldo Papi
Roma (Public Policy) – Il 18 dicembre l’Aula della Camera ha approvato in via definitiva il disegno di legge recante misure per il contrasto alla corruzione. Un provvedimento fortemente voluto dal Movimento 5 stelle, che lo ha ribattezzato “spazzacorrotti”, dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e dallo stesso leader Luigi Di Maio, che ha parlato di una legge “attesa dai tempi di Mani Pulite”. Molte delle misure, però, hanno suscitato anche forti perplessità tra esperti accademici ed esponenti delle professioni legali, e non solo. La sospensione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio disposta dalla legge a partire dal 2020 (si è deciso così, per contestualizzare la norma a una futura “complessiva” riforma della giustizia) ha perfino indotto l’Unione delle Camere Penali e 110 professori di diritto delle principali università italiane, a rivolgere nei giorni scorsi un appello diretto al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in cui gli si chiede di non firmare il testo e rinviarlo alle Camere, in ragione dei “profili di illegittimità costituzionale” sottesi alla norma. Dubbi sono stati espressi anche su altri interventi, come la ridefinizione del reato di traffico di influenze, e in generale, sull’approccio orientato all’inasprimento di pene e sanzioni per contrastare la corruzione. Public Policy ne ha parlato con Serena Sileoni, giurista, vicepresidente dell’Istituto Bruno Leoni.
Che idea si è fatta di questa legge?
Non mi stupisce, data l’attuale maggioranza. Era una delle cose più coerenti che, almeno il Movimento 5 stelle, potesse fare. Ma è anche l’espressione di una tendenza: da una decina d’anni a questa parte ogni governo deve fare la sua lotta alla corruzione, con una legge che ogni volta sembra cancelli la corruzione dall’Italia. Sono però riforme, come spesso purtroppo succede, buone soprattutto a solleticare l’elettorato. Ma è ovvio che la corruzione non scompare. Soprattutto non scompare grazie a atteggiamenti punitivi e repressivi. Il paradosso di questi approcci è che da un lato mettono in campo una ‘iper-severità’ sulla carta – inasprimento delle pene, previsione di nuovi reati – poi però nel concreto comportano problemi enormi di perseguimento e individuazione dei reati e di esecuzione delle pene. È un atteggiamento che evidentemente risponde alla logica per cui i processi si fanno in mezzo all’opinione pubblica, e per cui l’importante è la fase iniziale, il momento della minaccia generale della pena – quindi la legge – e quello della minaccia particolare della punizione, quindi non la sentenza, ma l’indagine. Risponde tutto a questa logica.
Uno dei temi che ha suscitato più perplessità nel dibattito pubblico è quello della sospensione della prescrizione dopo il primo grado di giudizio. Qual è il problema?
Il problema innanzitutto è non aver capito, e non far capire alle persone, che la prescrizione è un valore sostanziale dello stato di diritto. Non è il ‘rifugio dei colpevoli’. È ciò che garantisce la certezza che lo Stato non ti può perseguire a vita. Stabilisce in altre parole che la funzione penale dello Stato, venga svolta nel più breve tempo possibile, a beneficio non soltanto dell’eventuale indagato e incriminato, ma anche di tutti gli altri, assicurando che i reati vengano perseguiti in un tempo ragionevole. La prescrizione è dunque un valore che rappresenta un onere per lo Stato: quello di agire tempestivamente, e agendo tempestivamente, di fare il proprio dovere, che è garantire l’ordine giuridico nel senso penale del termine. Dopo vent’anni, l’ordine non si ripristina più: è come una ferita, che devi curare subito, non aspetti che vada in cancrena.
Eppure questi aspetti sembrano poco compresi. Perché?
Per via di un atteggiamento punitivo e repressivo, che nasce nell’era post-Tangentopoli e dell’opposizione a Berlusconi, per cui siccome è invalsa l’idea che la prescrizione è una strategia difensiva del presunto reo, allora va eliminata. Ma la realtà è che se il presunto reo beneficia della prescrizione è perché lo Stato va lento. La questione non si risolve certo facendolo andare ancora più lento. Addirittura qui non si allungano i tempi, ma li si sospendono proprio: in questo modo si peggiora solo la giustizia.
Quali altre norme l’hanno colpita?
Una in particolare è la disposizione relativa all’assorbimento del reato di millantato credito in quello di traffico illecito di influenze. Quest’ultimo, a mio modesto avviso, andrebbe abolito, perché non è a fattispecie tassativa. Una delle garanzie del diritto penale è che il reato deve essere intelligibile. Deve consentire al cittadino di sapere quando una determinata azione è illecita, e quando invece una magari simile, ma non proprio quella, non lo è. Per questa ragione le fattispecie devono essere molto chiare, definite e tassative. Il traffico di influenze è invece a fattispecie completamente aperta: dove sta il confine tra un’attività di mera mediazione, e il traffico illecito? Come fai a priori a capire che semplicemente aver dato il numero di telefono di tizio a caio è, o non è, traffico di influenza? È praticamente impossibile, perché la fattispecie è molto vaga, e quindi pericolosa.
In che senso una norma del genere rappresenta un rischio?
Rientra in una deriva del diritto penale contemporaneo che si accosta ad una ‘iper-rigidità’ sulla carta dei reati e delle pene: normare tutto e di più e in maniera molto vaga, per cui sta poi alla discrezionalità del pm e poi del giudice interpretare i casi specifici. Aumenta quindi la discrezionalità interpretativa, che è un enorme danno per la certezza dei rapporti giuridici. Nel penale questa è decisiva, perché riguarda la vita e la libertà delle persone. In pratica, ti fa capire se rischi di andare o meno in prigione. Il traffico di influenze, come dicevo, andrebbe cancellato, perché non fa capire alle persone cosa vi rientra e cosa no. Averlo addirittura ampliato, secondo me è indice di una normo-mania penale, che si manifesta nel dire ‘più pene, più reati, più severità’ sulla carta, ma in concreto si traduce in maggior discrezionalità interpretativa.
Per concludere, quali effetti crede che avrà questa legge? Ritiene che sarà efficace nel contrastare il fenomeno corruzione?
Ha “l’effetto non intenzionale” di mettere a repentaglio alcuni capisaldi dello stato di diritto, come appunto il valore sostanziale della prescrizione, che erano acquisiti nella nostra cultura giuridica. Non è una novità del Movimento 5 Stelle. Purtroppo anzi i 5 stelle su questo aspetto ereditano una tara che ci portiamo dietro dall’epoca dell’antiberlusconismo. Non voglio dire ‘e allora il Pd?’, ma la sinistra dovrebbe ricordarsi da dove viene il ‘dai addosso alla prescrizione’.
Per quanto riguarda l’efficienza nel contrasto della corruzione: secondo me non c’è lotta alla corruzione che tenga semplicemente con l’uso penale della forza. La corruzione è un problema legato all’elefantiasi della pubblica amministrazione, alla quantità di occasioni che questa ha di farsi corrompere. Più c’è amministrazione, burocrazia, intermediazione dello Stato, più occasioni di corruzione ci sono. Ci sono evidenze statistiche per cui nei Paesi con più corruzione o percezione della corruzione – e nel nostro quest’ultima è altissima, forse più della realtà – la presenza dell’amministrazione, della burocrazia e della mano pubblica è più alta. (Public Policy)
@leopoldopapi