Premierato e referendum, occhio al 2016: cosa rischia Meloni

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – “È una riforma necessaria in Italia. O la va o la spacca: ma nessuno mi chieda di scaldare la sedia o di stare qui a sopravvivere, non sarei la persona giusta per ricoprire questo incarico”, dice Giorgia Meloni parlando del premierato. O la va o la spacca: la presidente del Consiglio cerca consenso attorno alla revisione della costituzione in vista del referendum che potrebbe essere molto pericoloso per la stabilità politica del suo governo.

Il precedente che viene subito in mente è quello di Matteo Renzi, quando nel 2016 perse il referendum costituzionale e si dimise. Non lasciò la politica, come aveva promesso, ma l’incarico di presidente del Consiglio sì. “Un consiglio alla Meloni sul referendum da un esperto della materia”, ha detto Renzi nei giorni scorsi: “Se Giorgia Meloni perderà il referendum costituzionale dovrà andare a casa. Comunque. Lei sembra confusa. Ieri dice: o la va o la spacca Oggi dice: se perdo non mi dimetto, chissenefrega. Non è così, cara presidente i referendum su progetti proposti dal Governo portano comunque alle dimissioni del primo ministro, in tutto il mondo. Che il premier voglia o no. Anche David Cameron nel 2016 disse che non si sarebbe dimesso in caso di sconfitta ma fu costretto a lasciare Downing Street appena furono ufficiali i dati della Brexit. Il mio consiglio alla Meloni è semplice: anziché preoccuparsi per la sconfitta, preoccupati di cambiare la riforma Casellati. Così non funziona. Non va. Se insiste su questa riforma che non sta in piedi e va al referendum, lo perde. E se lo perde va a casa”. Potrà andare a casa “come ha fatto Renzi o potrà andare a casa come ha fatto Cameron. Ma comunque andrà a casa. Perché quando un Governo perde un referendum, diventa una sfiducia politica del Paese al Governo. E politicamente parlando non basta avere la fiducia del Parlamento. O la va o la spacca? La spacca, Giorgia, la spacca”.

Renzi personalizzò la disfida referendaria, offrendo all’elettorato la propria testa. Più che un referendum sulla Costituzione divenne un referendum su di lui prima ancora che sul suo governo. Meloni non sembra voler ripetere lo stesso errore. Non vuole associare il referendum a sé stessa, anche se dire “o la va o la spacca” potrebbe sembrare un modo per avvicinarcisi. C’è da dire però che potrebbe essere inteso come un modo per responsabilizzare gli alleati, fin qui meno interessati di Fratelli d’Italia al premierato. E infatti, non soltanto perché ci sono le elezioni europee, la presidente del Consiglio pare che abbia voluto cercare di accontentare tutti – da Lega a Forza Italia – nelle loro rivendicazioni e tutela della loro constituency. Dunque Meloni si attende un aiuto serio da parte di Matteo Salvini e Antonio Tajani quando arriverà il referendum; tutti gli alleati dovranno fare la loro parte, altrimenti “la spacca”. E se “la spacca” tutti vanno a casa.

Dall’opposizione non arriveranno certo degli aiuti. All’inizio della discussione generale in Senato, i partiti contrari al governo Meloni hanno presentato 3 mila emendamenti, 1.300 dei quali del Pd. In commissione Affari costituzionali il partito guidato da Elly Schlein aveva depositato oltre mille proposte di modifica. Un atteggiamento palesemente ostruzionistico, tant’è che la segretaria del Pd ha chiamato a raccolta i suoi parlamentari, invitandoli a “fare muro” con “i corpi” contro una riforma che secondo lei stravolge l’assetto nato dalla Costituzione antifascista e mina la repubblica parlamentare. E il 2 giugno ci sarà una manifestazione sulla Costituzione e l’Europa federale contro il premierato e l’autonomia differenziata. A una settimana dal voto europeo dunque l’opposizione scenderà in piazza per protestare contro la modifica della Costituzione.

Non tutti nell’opposizione vedono il premierato come uno sfregio alla Carta. Stefano Ceccanti, costituzionalista, già parlamentare del Pd, è animatore di un serio dibattito attorno alla riforma insieme alle associazioni Libertà Eguale, Fondazione Magna Carta, Riformismo e Libertà, Io Cambio, che hanno presentato emendamenti “riformisti” al ddl premierato. “I due emendamenti riguardano i nodi prioritari che abbiamo rilevato, a partire da una questione di fondo, ossia la necessità di una forte legittimazione del premier con la previsione di un eventuale ballottaggio”, dicono le associazioni, che vorrebbero introdurre, come in Francia, il ballottaggio. Come ha insomma spiegato il costituzionalista Francesco Clementi, si può dire no a questa riforma senza per forza dire no a ogni riforma. (Public Policy)

@davidallegranti

(foto cc Palazzo Chigi)