Twist d’Aula – La bonus economy è ancora tra noi, nonostante Draghi

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di Massimo Pittarello

ROMA (Public Policy) – La bonus economy è ancora qui, solida e inscalfibile. Non è certo una invenzione di questo governo. La prima pietra la mise Renzi con gli 80 euro e gli esecutivi successivi, e in particolare quello gialloverde, l’hanno ingrandita e ampliata con misure talvolta fantasiose (tra i circa 50 esistenti, ci sono il bonus per i matrimoni in Puglia, il bonus monopattini, bonus nonni, asilo nido, “mamma domani”, musica e tanto altro). Nonostante nel passato se ne sia certificata l’inefficacia sia nel rilanciare i consumi che nello stimolare l’economia, ad oggi l’approccio sembra perpetuarsi.

L’esecutivo ha costruito un bonus straordinario di 200 euro a tutti i redditi sotto i 35 mila euro (anche chi prende il reddito di cittadinanza). Vengono introdotti il bonus sul caro carburanti, per i trasporti pubblici, sostegni per le imprese. Sono stati stanziati 15 miliardi contro il caro energia, senza che sulla politica energetica si sia ancora cambiato marcia. Il decreto “aiuti” è salito da 6 a 14 miliardi nello spazio di un mattino (dopo un incontro con i sindacati), ma potrebbe gonfiarsi ulteriormente dicono dal Mef. Inoltre vengono mantenuti i bonus del passato, a cominciare dal Superbonus per le villette, criticato anche da Draghi. Eravamo una Repubblica fondata sui bonus prima di questo governo. Potremmo rimanerlo.

Una tradizione consolidata di sussidi può essere difficile da scalfire anche per un economista come il presidente del Consiglio. Certamente una legislatura nata nel 2018 in piena bolla populista, mentre si avvicinano le elezioni e crescono le agitazioni delle forze politiche, non aiuta. Comunque, oltre a non demolire l’impianto di sussidi precedenti, non si riesce nemmeno a costruire un impianto di riforme. Secondo il programma concordato con Bruxelles il ddl concorrenza deve essere approvato in tutti i suoi decreti attuativi entro dicembre. Per farlo il governo contava di chiudere il testo al Senato entro Pasqua. Ad oggi il testo è bloccato in Commissione Industria.

Soprattutto, il via libera potrebbe passare per un compromesso al ribasso sul tema più delicato, quello delle concessioni balneari. Come sempre in Italia – paese dove non c’è nulla di più definitivo del provvisorio – potrebbe arrivare una proroga alle gare. Discorso simile per il fisco. Già in ritardo sulla tabella di marcia, il già generico ddl prevede un sostanziale rinvio per la tanto contestata riforma del catasto. E così anche sulla riforma della giustizia, che per gli addetti ai lavori serve a dare l’impressione all’Europa che si è fatto qualcosa per ottenere i finanziamenti del Pnrr. Ma anche a Bruxelles hanno subodorato la situazione cominciano ad avere seri dubbi che qualcosa possa cambiare.

Il campanello d’allarme è ufficialmente suonato. Anche perché il contesto internazionale è difficile (la guerra potrebbe prolungarsi, le crisi energetiche e alimentari si aggravano, l’inflazione fa traballare la stabilità monetaria) e quello nazionale va ancora peggio. Tutti gli indicatori economici mostrano segnali di rallentamento, al limite della recessione. Soprattutto, l’agognato Pnrr stenta a partire. Una delle due gare per il 5G è andata deserta, giudicata insostenibile nonostante il piano di investimento fosse coperto per il 90% da fondi pubblici. A consuntivo, se gli obiettivi di spesa per il 2021 del Recovery erano di 13,7 miliardi, i dati ufficiali registrano 5,1 miliardi, ma se non si contano le opere partite con risorse precedenti siamo a 1,3. Un misero 10%. E bisogna ancora risolvere innumerevoli problemi.

Insomma, anche questo governo non sembra in grado di invertire la rotta. La strategia, che intendeva tenere sotto controllo il debito pubblico con un mix di investimenti finalizzati alla crescita e un aumento dell’inflazione (così da aumentare il denominatore e ridurre il rapporto tra debito e pil) non sembra funzionare perfettamente. Se ne sono accorti i mercati, con lo spread che ha superato quota 200 (livelli del maggio pandemico del 2020), preoccupati anche di quello che potrebbe accadere nel dopo Draghi. A fare due conti, sono anni che i partiti comprano consenso con il debito pubblico, che infatti è passato dal 100% del pil nel 2008 al 155% odierno. Gli ultimi 12 governi hanno accumulato quasi 600 miliardi aggiuntivi (350 solo dal 2020). Il Pnrr ne prevede altri 120, che potrebbero non dare gli effetti sperati. Se nemmeno Draghi è riuscito a uscire dalla bonus economy, perché dovrebbero farlo i prossimi? (Public Policy)

@m_pitta