Più Meloni si espone, più emergono le contraddizioni della coalizione

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di David Allegranti

ROMA (Public Policy) – In attesa di (irraggiungibili) punti di svolta nel conflitto in Ucraina scatenato dalla Russia – con Vladimir Putin che gioca al gatto col topo fingendo di essere interessato a trattative per la pace – Giorgia Meloni cerca di mantenere un difficile equilibrio internazionale. “Non ha ancora deciso se essere quella di Colle Oppio o quella di Palazzo Chigi”, ha scritto Mattia Feltri su Huffington Post.

D’altronde non si può andare dietro a Donald Trump per qualsiasi sua sortita, anche se sugli impegni nei confronti della Nato il presidente degli Stati Uniti insiste trovando il favore del Governo italiano; Meloni durante un recente question time al Senato ha confermato che l’Italia “raggiungerà questo target (quello del 2 per cento del pil in spese per la difesa, ndr) nel corso del 2025”. “L’Italia e l’Europa devono rafforzare le proprie capacità difensive per poter far fronte alle sfide geopolitiche in atto, per poter rispondere alle responsabilità a cui sono chiamate anche in ambito Nato”, ha detto nei giorni scorsi. “Lo ribadisco anche in questa sede con la coerenza di chi da patriota ha sempre sostenuto un principio semplice cioè che la libertà ha un prezzo che se fai pagare a qualcun altro la tua sicurezza devi sapere che non sarai tu a decidere pienamente del tuo destino”.

Allo stesso modo, tuttavia, Meloni non vuole andare dietro ai cosiddetti “volenterosi” (fra gli altri i leader di Francia, Germania e Regno Unito), al punto tale da non partecipare in presenza a riunioni strategiche sul conflitto in Ucraina (come quella a Tirana del 16 maggio scorso), anche perché l’etichetta di “guerrafondaio”, sapientemente gestita dai vari Giuseppe Conte, potrebbe essere esiziale, per quanto si tratti soltanto, e non è poco certamente, di aiutare l’Ucraina. “L’Italia non è disponibile a inviare truppe in Ucraina e non avrebbe senso partecipare a formati che hanno degli obiettivi sui quali non abbiamo dichiarato la nostra disponibilità”, ha detto Meloni sbagliando bersaglio. Il punto però – come ha ribadito anche il presidente francese Emmanuel Macron, con cui gli attriti sono noti – è che nessuno ha mai parlato di inviare soldati. Trovare dunque un punto di equilibrio – tra l’esposizione diplomatica e la tutela degli interessi nazionali – è assai complicato.

A poco più di due anni dalle elezioni politiche del 2027 – e proprio mentre cerca di presentarsi come “pontiere” nel vertice trilaterale di Roma con Ursula von der Leyen e il vicepresidente degli Stati Uniti J.D. Vance – Meloni deve far fronte al momento di maggior attrito internazionale della sua leadership. Parigi la isola sul dossier ucraino, Washington alza il prezzo della protezione Nato e la guerra dei dazi minaccia il Made in Italy. In controluce emerge un paradosso: la premier guadagna visibilità diplomatica e mediatica proprio mentre la sua base negoziale si assottiglia.

Mentre sul dossier dei migranti la premier può rivendicare qualche successo – almeno dal suo punto di vista l’accordo con l’Albania lo è – la somma di dossier aperti riduce i margini di manovra. Sicché ogni concessione a Bruxelles rischia di essere letta come cedimento ai “tecnocrati”, ogni apertura a Washington come subordinazione, ogni schermaglia con Macron come prova di inaffidabilità. Il risultato è che più Meloni si espone da protagonista, più emergono le contraddizioni di una coalizione costretta a far quadrare conti, alleanze e consenso interno. Finora la premier ha compensato con abilità narrativa e con la sua capacità di fare da collante di una maggioranza composita, in cui Forza Italia e Lega vedono la politica estera in maniera opposta – ma con il passare dei mesi le difficoltà emergeranno. L’avvicinarsi delle elezioni politiche farà inevitabilmente aumentare le tensioni nella maggioranza (Matteo Salvini si è preparato nominando il generale-europarlamentare Roberto Vannacci come suo vicesegretario), per non parlare dei bilanci da far quadrare. Con le spese al 2 per cento del Pil in Difesa, chi pagherà il conto? (Public Policy)

@davidallegranti

(foto cc Palazzo Chigi – l’incontro tra Meloni, von der Leyen e Vance)